L’equinozio è quel momento dell’anno in cui i raggi del sole arrivano perpendicolari all’equatore, facendo così durare allo stesso tempo la notte e il giorno (da cui il suo nome, “aequa nox”).
Quest’anno l’equinozio di primavera cadeva esattamente alle 10:37 ora italiana, quando cioè la 112esima edizione della Milano-Sanremo era nei dintorni di Pavia.
A quel punto della gara c’erano ancora davanti otto corridori con quasi sette minuti di vantaggio. Dietro controllavano fuga la Jumbo-Visma, la Deceuninck-Quick Step e la Alpecin-Fenix, cioè le squadre di van Aert, Alaphilippe e van der Poel.
Loro tre, nel momento esatto dell’equinozio, se ne stavano in mezzo al gruppo a godersi un sole zenitale che pareva indicarli, come d’altronde tutto il resto dell’universo, come gli strafavoriti di giornata.
Ma alle 10:37 mancavano ancora 270 km al traguardo, e doveva ancora succedere tutto.
I tre fenomeni dovevano ancora provare ad attaccare sul Poggio e vedere, per la prima volta nella stagione e quasi nelle loro carriere, di non riuscire a fare la differenza.
Dovevano ancora accorgersi con un qualche sgomento che in cima all’ultima salita Caleb Ewan era sempre lì in seconda posizione, e che a quel punto sarebbe stata dura batterlo sul traguardo di Via Roma.
Dovevano ancora, soprattutto, ritrovarsi nella spiacevole condizione di essere all’ultimo chilometro a dover rincorrere due corridori, Stuyven e Kragh Andersen, che si erano avvantaggiati di un pugno di secondi.